Lola Doillon, Francia 2016, 98’

Fanny ha tredici anni, è ebrea e vive in Francia. Per proteggerla dai nazisti i suoi genitori l’hanno portata da alcuni anni a vivere con altri bambini in una colonia in montagna. È il 1943, la situazione peggiora e i ragazzi non sono più al sicuro. Intraprenderanno allora soli un difficile viaggio sfidando la natura e i nemici nella speranza di riuscire a raggiungere il confine svizzero e la salvezza.

Sinossi

Francia, 1943. Fanny e le sue due sorelle vengono lasciate dai loro genitori in una delle case colonie che in quel tempo si occupavano di dare protezione ai bambini ebrei.

La vita in queste case di campagna sembra scorrere in maniera tranquilla e giocosa ma i bambini non possono rimanere nello stesso luogo a lungo; c’è sempre il pericolo che i nazisti li possano scoprire.

L’obiettivo di chi organizza le case colonie è quello di far arrivare i bambini al confine della Svizzera. Una volta superato tale confine, i piccoli saranno liberi.

Quanto ci vuole per arrivare al confine svizzero?

Quanti rischi devono correre i piccoli per arrivare fino lì?

Quanti di loro riusciranno ad attraversarlo, se i nazisti sono disseminati sul tutto il territorio?

Fanny farà di tutto per caricare su di sé non solo il peso e i pericoli del viaggio ma anche un gruppo di altri otto bambini.

Ce la farà?

Approfondimento

Il viaggio di Fanny racconta una storia particolare della Seconda Guerra Mondiale e lo fa assumendo il punto di vista delicato di un gruppo di bambini. Lola Doillon, la regista, riesce a tenere, dall’inizio alla fine, un tono “leggero”, delicato, quasi giocoso lasciando fuori campo la tragedia che si sta consumando in quegli anni in Europa.

La regista riesce ugualmente a farci percepire il senso dell’ingiustizia, dell’angoscia, della ferocia della guerra, della deportazione degli ebrei.

Dal libro al film

La storia del film è tratta da un libro Le journal de Fanny, edito in Italia da Salani con lo stesso titolo del film Il viaggio di Fanny, scritto da Fanny Ben-Ami che ha veramente vissuto ciò che vediamo nel film.

A parte qualche personaggio o situazione che risultano essere diversi rispetto alla storia vera per necessità di copione cinematografico, ciò che colpisce della sua preziosa testimonianza è la capacità di una bambina di assumersi responsabilità enormi, per non smettere mai di credere nel futuro.

Nel film vediamo la piccola Fanny costretta a diventare adulta molto in fretta, a fare da mamma e da sorella, a non lasciare mai nessuno indietro anche quando rischia di essere presa o uccisa. Con il suo corpo e il suo sguardo nervoso e preoccupato, riesce ad incontrare il nostro sguardo di spettatori come per scuoterci, per sottolineare l’assurdità di una guerra che ha fatto milioni di morti nel nome di un’ideologia altrettanto assurda e mai del tutto morta.

Se le inquadrature de Il viaggio di Fanny sono sempre piene di bambini, questo vuol dire che la presenza degli adulti è molto limitata, buoni o cattivi che siano. E infatti vediamo i genitori all’inizio per pochi secondi, conosciamo la Signora Forman per pochi minuti, conosciamo i “passatori” e altri che offrono man mano un aiuto ai piccoli, sempre per pochissimo tempo.

Anche i cattivi li vediamo appena.

Questo perché la fuga verso la Svizzera, seppur organizzata da adulti, doveva ricadere sulle gambe dei bambini e sulla loro capacità di evitare la disperazione e la morte.

Fanny, le sue sorelle e gli altri bambini del gruppo attraversano ed esprimono emozioni volta per volta diverse, come se fossero immersi in un grande gioco: la solitudine, la forza del gruppo, la fame, il freddo, lo scherzo, il dolore, il giorno, la notte.

Un gruppo di super eroi senza trucchi o super poteri, ma solamente con la voglia di vivere, di ritrovare un giorno i propri genitori, di poter sentirsi liberi dire di essere ebrei, senza più nascondersi o cambiare il proprio nome.

Se il punto di vista di questa storia appartiene ai bambini, allora i colori non possono essere che luminosi, le scenografie evocative del mitico tempo dell’infanzia (vi ricordate l’incontro con gli animali nella fattoria, il bagno nel fiume, la casetta di legno abbandonata sulla cima della collina...) non sarebbero gli stessi luoghi, non avrebbero gli stessi colori se a vederli e a raccontarli fossero degli adulti.

Perfino la casa colonia dell’austera Signora Forman appare rassicurante, calorosa. E a renderla tale c’è comunque lo sguardo di Fanny che con l’aiuto della sua macchina fotografica, usata come se fosse una cinepresa, si rifugia non appena può nei colori caldi del ricordo dei suoi famigliari. I ricordi così preziosi di una vita che non c’è più e che non ritornerà più in alcun modo. O la capacità di Fanny di vedere oltre l’assenza, oltre il vuoto quando sul foglio bianco lasciato da Eli si immagina e riporta agli altri bambini parole che non sono mai state scritte ma di cui sa di avere bisogno.

Come ne avrà bisogno lei quando al confine svizzero, la paura di non farcela viene sostituita dalla forza per farcela. Una capacità di reinventare il presente che solo i bambini hanno. È come se la regista abbia creato un piccolo mondo, tutto sommato sopportabile, all’interno di una realtà che, anche se non la vediamo, noi sappiamo (per le informazioni che abbiamo) essere atroce, invivibile, indicibile, insopportabile. E questo non è il minimo che ogni adulto dovrebbe fare per ogni bambino?

Le case colonie in Francia - Storie di resistenza nonviolenta

Nel film si fa riferimento ad un’organizzazione di cui fa parte la Direttrice Forman, che effettivamente durante la Seconda Guerra Mondiale si è preoccupata, in maniera volontaria, di dare protezione ai tanti bambini ebrei a rischio di deportazione.

Questa organizzazione si chiamava OSE – Oeuvre de Secours aux Enfants.

Come e quando nacque quest’organizzazione? L’OSE si costituì nel 1912 a San Pietroburgo in Russia (dove si chiamava OZE) con una missione precisa: mettere in piedi un sistema sanitario moderno per gli ebrei esclusi dal sistema di protezione sociale sanitario russo. Appoggiandosi sulle organizzazioni sociali esistenti, l’OZE installò dei comitati in tutte le città più grandi della Russia, ma la sua azione con il tempo si estese anche in altri paesi in particolare in Polonia e in Lituania.

Le donne dell'OSE

Il personaggio di Madame Forman è ispirato a due donne straordinarie che guidavano in quel tempo l’OSE: Lotte Schwarz e Nicole Weil.

Lotte Schwarz era una donna con i capelli corti, sempre in pantaloni, professoressa di ginnastica che faceva tutto con passione. All’inizio del 1939, Lotte che era anche una pedagoga libertaria, riuscì a farsi nominare dall’OSE direttrice della casa di Chaumont. La sua personalità, carica di titoli ma priva di cultura ebraica, faceva un po’ paura.

Pertanto, a Chaumont, grazie alla collaborazione di tutti, dal giardiniere alla cuoca, lei riuscì a creare un clima caloroso, accogliente che permetteva ai bambini di vivere, non solo sopravvivere.

Faceva in modo che ognuno diventasse responsabile di se stesso e collaborasse al benessere del gruppo. Per cui molti imparavano a recitare e a preparare spettacoli che portavano poi in piazza davanti ad un pubblico di piccoli e grandi; altri impararono a cucinare, altri a costruire marionette. Per i bambini che non potevano andare a scuola, ad esempio i più piccoli o i più grandi, Lotte diede la possibilità di essere istruiti direttamente nella casa mettendo a loro disposizione due educatori, Fred Hagen, pittore e poeta, e sua moglie Gritte, ballerina a Monaco. I grandi così potevano diplomarsi mentre i piccoli avevano a disposizione un loro asilo (sempre nella casa) gestita ispirandosi ai metodi di Maria Montessori. Quando l’OSE nominerà una nuova direttrice nel 1942, invitando Lotte a nascondersi o a raggiungere la Svizzera perché era ricercata dai nazisti, tutti i bambini della colonia le corsero incontro per bloccarla.

Nicole Weil era una giovane assistente sociale de l’OSE venuta da Parigi, per lavorare al centro medico sociale di Marsiglia sviluppato da Julien Samuel: bisognava procurarsi documenti falsi, nascondere ebrei stranieri, cercare di far uscire bambini dal campo dei Mille. Dopo novembre del 1942, Nicole ricevette insieme al ma- rito il compito di dirigere la casa colonia di Mégève dove si trovavano 750 bambini ebrei. Bisognava aiutarli e soprattutto persuaderli che dovevano raggiungere il confine svizzero. Dopo la ritirata degli italiani, nel settembre del 1943, i nazisti presero il controllo di Nizza e tutto diventò più difficile. Nicole continuò ad orga- nizzare gruppi di bambini per farli arrivare al confine svizzero, ma durante uno di questi convogli, venne arrestata e deportata.

Intervista alla vera Fanny

La Fanny vera si chiama Fanny Ben-Ami, oggi ha 87 anni e vive a Tel Aviv, in Israele. Nel 1986 ha pubblicato Le Journal de Fanny, la sua storia vera di ragazzina che all’età di 13 anni, ha attraversato la Francia occupata caricandosi della responsabilità di un gruppo di ragazzini. Da questo libro, edito anche in Italia con il titolo Il viaggio di Fanny, è stata tratta la sceneggiatura del film.

Vi suggeriamo di vedere su Youtube l'incontro fra la vera Fanny e i bambini attori del film cliccando su: https://youtu.be/I_3DsMP5HUE 

Spunti didattici

1. Ricordando le tappe principali del viaggio di Fanny, riesci a ricostruire il suo percorso?
2. Per quali ragioni il gruppo di bambini è costretto a cambiare continuamente il posto in cui essere ospitati?
3. Che tipo di politica mise in atto la Francia rispetto agli ebrei?
4. Perché i bambini per mettersi in salvo dovevano raggiungere la Svizzera?
5. Quale funzione ha Madame Forman? E che compiti aveva l’associazione OSE a quel tempo?
6. Come descriveresti la figura di Fanny? Sapendo che quella ragazzina è realmente esistita e che ha fatto tutto quello che hai visto nel film, che idea ti sei fatto di lei?
7. A cosa serve la macchina fotografica che Fanny porta con lei?
8. Che significato ha il foglio bianco che Fanny riceve dal ragazzo Eli? Perché Fanny legge ai bambini un testo che non esiste?
9. Insieme ai tuoi compagni e docenti, potreste una ricerca sui bambini e la Shoah, dividendola per zone geografiche ad esempio. Fate in seguito una ricerca sulle organizzazioni o esperienze significative che si sono preoccupate di salvare i bambini durante gli anni del nazismo e delle leggi razziali. Quali riflessioni traete dalle vostre ricerche?
10. Scegli una scena o una frase o un’immagine del film ti ha particolarmente colpito; confrontala poi con quella degli altri compagni. Quali emozioni avete provato?
11. I colori, le scenografie, le musiche scelte dalla regista sono molto spesso vivaci, giocose lasciando in sottofondo la guerra. Condividi la scelta della regia? Quali significati ha secondo te?

Film

• Corri ragazzo corri di Pepe Danquart
• Un sacchetto di biglie di Christian Duguay
• Nebbia in agosto di Kai Wessel
• Belle e Sebastien di Nicolas Vanier
• La vita è bella di Roberto Benigni
• Jona che visse nella balena di Roberto Faenza
• L’isola in via degli uccelli di Soren Kragh-Jacobsen
• Il bambino col pigiama a righe di Mark Herman

Quasi tutti questi film sono tratti da libri.